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Il termine “valutazione” deriva
dal latino valitus, participio
passato di valere, avere prezzo, stimare, dare un prezzo.
In senso etimologico dunque la
valutazione è il processo attraverso il quale si attribuisce valore a un
oggetto, un’azione o un evento. L’attività di valutare, quindi, è quella con
cui le persone (singoli, gruppi, comunità, istituzioni) esprimono un giudizio
riguardo a un fatto rilevante e significativo. È la ricerca docimologica che,
fin dal principio del Novecento, studia i metodi con cui vengono espressi i
giudizi di valutazione al fine di controllarne l’attendibilità dal punto di
vista concettuale, metodologico e tecnologico. Il concetto di valutazione si è
quindi evoluto con lo sviluppo delle diverse teorie relative ai processi di
apprendimento e al curricolo. Fino ad oggi è stato influenzato soprattutto da
due approcci teorici.
Il primo è quello funzionalista,
introdotto da R. W. Tyler, sorto dalla necessità di abolire pratiche didattiche
fondate sulla casualità, l’improvvisazione, l’ambiguità. Il punto di partenza
per una valutazione efficace è stabilire degli obiettivi descritti come
comportamenti attesi. A tal fine è rilevante progettare un piano educativo o
curricolo, in cui si stabiliscono obiettivi e contenuti. Tale modello ha
riscosso un notevole successo, ma tuttavia non sono mancate pesanti critiche.
Ad esempio, esso lasciava aperti i problemi relativi ai comportamenti attesi,
criticità che Bloom cercò di risolvere introducendo una tassonomia costituita
da una serie gerarchica di operazioni mentali (da semplici a complesse) da
effettuare nei contenuti appresi (conoscenza, comprensione, applicazione,
sintesi, valutazione).
L’altro approccio, sviluppato da
Eisner, è quello fenomenologico, secondo il quale è necessario accertare il
valore sociale ed educativo di un’azione formativa. L’individuo viene
considerato un soggetto attivo che non può essere modellato nei suoi
comportamenti dettati dai bisogni, potenzialità che interagiscono con l’ambiente.
L’obiettivo dell’individuo è realizzare il proprio potenziale che si può anche
costruire al momento, attraverso una pratica educativa che si fa arte di
qualcosa di emergente. In quest’ottica non avrebbe senso prevedere dei
comportamenti finali, in quanto l’individuo deve imparare a fare scelte proprie
attraverso esperienze educative legate alla qualità della vita. Per Eisner il
compito dell’educazione sarebbe duplice: da un lato garantire l’acquisizione di
abilità per far fronte alle esigenze dei contesti economici e socio-culturali;
dall’altro permettere agli individui di costruire la propria interpretazione
della realtà. Si tratta quindi di una valutazione di tipo qualitativo, che
presuppone la soggettività e la rinuncia alla pretesa di distacco.
Se fino agli anni Settanta, i due
orientamenti, quantitativo e qualitativo, sembravano inconciliabili, oggi nella
ricerca educativa prevale l’approccio che unifica i due metodi, adeguando gli
strumenti al contesto e costruendoli partendo dall’esperienza.
L’oggetto della valutazione è
l’apprendimento, scopo principale del sistema scolastico stesso, che coinvolge
l’individuo non solo nella sfera cognitiva e meta-cognitiva, ma anche in quella
emotiva ed affettiva (aspetti quantitativi e qualitativi).
Le variabili da cui dipende sono
sostanzialmente due: lo stile di insegnamento e lo stile di apprendimento;
dalla loro interazione scaturisce l’apprendimento che perciò assume un forte
connotato sociale.
La valutazione, come processo
complesso e continuo, ha lo scopo non solo di comprendere il livello di
apprendimento raggiunto dai discenti, ma di verificare l’efficacia
dell’intervento didattico-educativo ed eventualmente attivare interventi di
miglioramento.
A tal fine si deve convergere sui
principi teorici di fondo e sugli scopi del giudizio di valutazione espresso
(perché si valuta?); vanno definiti i momenti della valutazione (quando si
valuta?); per giungere infine a scegliere i percorsi metodologici della
valutazione (come si valuta?). Le risposte a queste domande costituiscono nel
loro insieme il nodo della valutazione.
Diversi momenti di valutazione
durante il percorso formativo consentono di monitorare costantemente il
processo di apprendimento. Possiamo individuare tre fasi del percorso
(iniziale, intermedia e finale), a cui corrispondono strumenti di misura
distinti in base agli specifici obiettivi.
La valutazione diagnostica
consente di raccogliere informazioni sulle conoscenze iniziali, al fine di
tarare il percorso formativo, individuando lo stile cognitivo del discente.
La verifica intermedia consente
di prendere coscienza dei progressi ottenuti e delle eventuali criticità.
Progettando dei test formativi si consente agli allievi di comprendere a che
punto del percorso sono arrivati e di ottenere un riscontro sugli obiettivi
intermedi raggiunti. Anche l’insegnante beneficia di un importante strumento di
monitoraggio che gli consente di effettuare eventuali aggiustamenti rispetto
agli obiettivi prefissati.
La valutazione finale, per essere
veramente efficace, deve confrontarsi con i risultati della valutazione
diagnostica e formativa, al fine di cogliere l’effettivo cambiamento nel
sistema di conoscenza del discente.
La costruzione di un sistema di
valutazione è strettamente legato agli obiettivi prefissati.
Ogni obiettivo dovrebbe essere
formulato in termini di comportamento osservabile e quindi oggetto della
misurazione saranno comportamenti e relazioni tra comportamenti.
Un obiettivo complesso verrà
suddiviso in diversi sotto-obiettivi, che saranno oggetto di un sistema di
misurazione. A tal fine si stabilisce una scala di misura (ad esempio, in
centesimi). Per ciascun obiettivo si stabilisce inoltre il numero di prove da
realizzare e la tipologia più appropriata.
Si ricorre generalmente a due
macro-tipologie di prove:
- prove strutturate, caratterizzate da uno stimolo chiuso e da una risposta chiusa;
- prove semi-strutturate, caratterizzate da uno stimolo chiuso e da una risposta aperta.
Ci stiamo quindi riferendo a prove standardizzate di
valutazione ovvero prove oggettive di profitto. Secondo Domenici "possono
dirsi oggettive quelle prove che consentono di predeterminare, rispetto al
momento della loro somministrazione, e senza dar adito alla pur minima
ambiguità interpretativa, l'esattezza delle risposte". Rientrano in questa
tipologia i quesiti (a risposta libera o a risposta fissa); gli item a risposta
fissa che, in base alla modalità della risposta, si distinguono in vero o
falso, completamenti, corrispondenze, scelte multiple.
Le prove tradizionali (ad esempio l’interrogazione orale)
rispetto a quelle oggettive presentano diversi aspetti di criticità: il
giudizio è soggettivo, l’interpretazione delle domande e delle riposte è
soggettiva e non univoca, è impossibile predeterminare in modo univoco il
punteggio. Per le prove strutturate, invece, possiamo predeterminare il
punteggio in modo indipendente dal correttore, il giudizio è oggettivo e
consentono la verifica frequente del livello di apprendimento.
Domenici mette in evidenza che nelle prove tradizionali il
giudizio del docente valutatore può essere influenzato anche da fattori
psicologici emotivi, che producono i seguenti effetti:
-
effetto alone (condizionamento a valutazioni negative o
positive precedenti)
-
effetto contrasto (condizionamento a standard ideali di
prestazione)
-
effetto stereotipia (condizionamento ad opinione
generalizzata originaria)
-
effetto pigmalione (condizionamento dovuto ad
aspettative di prestazione)
Nella seguente tabella si mettono a confronto le prove non
strutturate e quelle strutturate (tratte dalla presentazione ppt di Michele
Baldassarre, Le prove strutturate nella
valutazione scolastica, Scuola di
Specializzazione per Insegnanti della Scuola Secondaria, Corso di
Docimologia, Università degli Studi di Bari, luglio 2006).
PROVE NON STRUTTURATE
|
PROVE STRUTTURATE
|
|
Stimolo ad organizzare
le idee
|
SÌ
|
NO
|
Consentono di verificare capacità espressive
ed abilità di organizzazione delle risposte
|
SÌ
|
NO
|
Tempo di preparazione della prova
|
LIMITATO
|
LUNGO
|
Tempo di correzione
|
LUNGO
|
BREVE
|
Margine di arbitrarietà
|
AMPIO
|
QUASI ASSENTE NELLA
MISURAZIONE
|
Rischio degli effetti che
provocano una distorsione del giudizio (effetto di successione, alone,
contrasto, stereotipia ecc.)
|
PRESENTE
|
NON PRESENTE
|
Autovalutazione
|
NON AGEVOLE
|
AGEVOLE
|
Verifica del
raggiungimento di obiettivi di conoscenza, comprensione ed applicazione
|
POSSIBILE
|
AGEVOLE
|
Verifica di obiettivi di
livello superiore (capacità di analisi, di sintesi, di valutazione)
|
DIFFICOLTOSA MA NON
IMPOSSIBILE
|
AGEVOLE
|
Campo di conoscenze esaminate
|
LIMITATO
|
AMPIO
|
Obiettivi prevalenti
|
CAPACITÀ DI ANALISI
E DI PROGETTO
|
CONOSCENZE E CAPACITÀ APPLICATIVE E DI PROBLEM
SOLVING
|
Informazione sulle modalità di ragionamento
|
DIRETTO
|
INDIRETTO
|
La qualità di un’esperienza
formativa risiede nella qualità dei processi cognitivi che attiva.
Il problema è quello di accedere
al lavoro mentale sotteso alla performance degli studenti. Indagare i processi
mentali ai fini di valutare un’attività formativa potrebbe essere ritenuto non
necessario: se il percorso mentale è valido avremo un risultato, se non lo è il
risultato sarà insufficiente.
Vi sono però dei casi in cui la
valutazione basata sul risultato può essere fuorviante. Il risultato potrebbe
essere errato o inadeguato, ma il ragionamento seguito potrebbe avere
consistenza. Oppure il risultato appare soddisfacente, ma è il frutto di un
processo diverso da quello ipotizzato, ad esempio di un processo mnemonico o
meccanico e non di un processo di problem
solving. Il risultato è solo apparentemente lo stesso. La valutazione si
interessa ai risultati, ma saper interpretare i processi ci mette nelle
condizioni di distinguere i risultati apparenti e di effetto immediato da
quelli validi e duraturi. Se il procedimento seguito in un compito è creativo
ed esprime un vero lavoro mentale siamo di fronte all’aspetto dinamico della
costruzione di una competenza; se il risultato è corretto, ma è frutto di un
processo ripetitivo e conformista, si tratta di un risultato illusorio che
deperisce rapidamente.
Negli USA, agli inizi degli anni Novanta, è sorto il
movimento della valutazione autentica o
alternativa, in contrapposizione critica alla forma di valutazione diffusa di
orientamento comportamentista fondata soprattutto su test standardizzati per lo
più a scelta multipla.
La prospettiva di una “valutazione alternativa” in sostituzione di
quella tradizionale è stata proposta da Grant Wiggins e sta a
indicare una valutazione che intende verificare non solo ciò che uno studente
sa, ma ciò che “sa fare con ciò che sa” fondata su una prestazione
reale e adeguata dell’apprendimento.
Questo approccio nasce dalla constatazione che gli
studenti talvolta esprimono risultati soddisfacenti nei test strutturati, ma
quando viene loro richiesta una prestazione concreta, basata su quanto hanno
appreso, dimostrano una competenza inadeguata. Questo indica come la valutazione
di concetti e di fatti isolati non dimostri le reali capacità di ragionamento,
di creatività e di soluzione di problemi in situazioni concrete di vita. La
proposta che ne consegue è di valutare l’apprendimento non in modi astratti e
artificiali, ma con prestazioni creative e contestualizzate.
La valutazione autentica si basa quindi sulla convinzione
che l’apprendimento scolastico non si dimostra con l’accumulo di nozioni, ma
con la capacità di generalizzare, di trasferire e di utilizzare la conoscenza
acquisita a contesti reali.
Si offre così la possibilità agli
insegnanti di migliorare il processo di insegnamento e di sviluppare la propria
professionalità, mentre gli studenti hanno l’opportunità di autovalutarsi per
diventare autoriflessivi e assumere il controllo del proprio apprendimento.
Per accertare il livello di apprendimento raggiunto anche
gli strumenti suggeriti sono diversi da quelli tradizionali.
Per realizzare questi obiettivi,
la valutazione autentica utilizza l’integrazione di varie strategie, come
quelle scritte (portfolio, rubriche, saggi), visive (osservazione diretta
durante lo svolgersi della prestazione oppure durante lo sviluppo della conoscenza)
e orali (colloquio insegnante-studente) per raccogliere le necessarie informazioni.
Si perfeziona inoltre durante il
processo di istruzione piuttosto che dopo, e fornisce risultati più diretti che
aiutano gli insegnanti a mettere a punto il loro percorso educativo.
Viene così messo in evidenza il valore essenzialmente
educativo del processo di valutazione, che non può limitarsi semplicemente a
considerare la vicinanza o la lontananza dagli standard attesi.
Le “differenze individuali” in termini di risultati non
possono essere trascurate e essere attribuite banalmente a mancanza di impegno
personale. Se l’obiettivo della valutazione è verificare il progresso
dell’apprendimento, questa dovrebbe essere individualizzata, mantenendo la
memoria del passato e del presente in riferimento a un progetto personale di
apprendimento comprensivo anche dell’autovalutazione dello studente.
BIBLIOGRAFIA
- Gaetano Bruno Ronsivalle,
Simona Carta, Vanessa Metus (a cura di), L’arte
della progettazione didattica. Dall’analisi dei contenuti alla valutazione
dell’efficacia, Milano, Franco Angeli, 2009.
- Maurizio Lichtner, La qualità delle azioni formative. Criteri
di valutazione tra esigenze di funzionalità e costruzione del significato,
Milano, Franco Angeli, 2002.
- Mario Comoglio, La
valutazione autentica, in Orientamenti Pedagogici, 49(1), 2002, 93-112.
- Gaetano Domenici, Manuale
della valutazione scolastica, Bari, Laterza, 2002.
- Grant
Wiggins, Assessing student performance: Exploring the purpose and limits of
testing, San Francisco, CA, Jossey-Bass, 1993.
- Ralph W.
Tyler, Basic principles of curriculum and
instruction, Chicago, The University of Chicago Press, 1949.
- Benjamin
S. Bloom, Taxonomy of educational objectives, New York, David MacKay,
1956.
- Elliot
W. Eisner, Educational objectives: help
or hindrance?, in School Review,
vol. 75, 1977.
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