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IL
ROMANZO STORICO
•
I1 romanzo storico è una narrazione in cui, sullo sfondo di avvenimenti
realmente accaduti in epoche molto lontane, si proietta la vicenda immaginaria
dei protagonisti, del tutto coerente col contesto storico in cui si inserisce.
I1 «vero» della storia si fonde col «verosimile» dell’invenzione: il punto di
vista non si sofferma sul quadro storico, ma sulla vicenda umana, intessuta di
sentimenti e di emozioni. Questa visualizzazione ingrandita e animata del
passato è ordita su alcune scelte formali di base
:
:
•
il narratore non si identifica in nessun personaggio, ma assume il ruolo di
ordinatore esterno e onnisciente che tiene in pugno i fili della narrazione
conoscendo dall’inizio i destini dei personaggi e l’evolversi delle vicende;
•
le parti descrittive sono ampie e analitiche e riguardano tanto gli ambienti e
le azioni, quanto i caratteri dei personaggi.
•
A dare l’avvio al romanzo storico è lo scrittore scozzese Walter Scott
(1771-1832) con la composizione di Waverley, pubblicato anonimo nel 1814.
L’enorme successo lo spinge a una febbrile attività che lo porta a comporre
ventuno romanzi in circa undici anni. La tecnica narrativa di Scott si raffina
ulteriormente nei romanzi successivi e lo scrittore arriva ad elaborare
meccanismi che si ripetono a ogni nuovo libro, dando luogo al cosiddetto
modello scottiano. Gli immancabili ingredienti sono gli sfondi storici
spettacolari e convenzionali e le straordinarie avventure dei protagonisti
(intrighi, episodi di duelli e di tornei, colpi di scena, riconoscimenti di
persone che si credevano scomparse e che si erano camuffate sotto un’altra
identità). Letti al giorno d’oggi, i romanzi di Scott presentano limiti e
ingenuità: la trama un po’ macchinosa e il livello deludente di analisi
psicologica dei personaggi sbrigativamente classificati in buoni e cattivi. Ma
il merito di questo scrittore è l’aver dato vita a tipi umani che incarnano,
nel rispetto della storia, i comportamenti sociali tipici dell’epoca in cui
sono calati. Questa tendenza, estremamente innovativa all’inizio
dell’Ottocento, avrebbe favorito negli scrittori successivi l’impegno per
un’arte più realistica e attenta alle problematiche sociali, secondo una linea
evolutiva della quale Alessandro Manzoni, Victor Hugo e Honoré de Balzac
sarebbero stati gli interpreti più autorevoli.
LA
POETICA DI MANZONI NEI “PROMESSI SPOSI”
È
importante capire che per Manzoni il «vero poetico» non è invenzione per il
gusto di inventare, ma invenzione per completare in tutti i dettagli possibili
la ricostruzione della realtà storica, che non è fatta solo di grandi eventi,
ma anche di piccoli eventi ignoti, eppure determinanti: ebbene, questi si
possono immaginare, ma sempre allo scopo di arricchire, approfondire la
conoscenza della realtà storica.
Protagonisti
dei Promessi sposi sono dunque due
personaggi immaginari che si muovono all’interno di un contesto storico
accuratamente ricostruito e interagiscono con personaggi storici Le 1oro vicende
non sono vere, ma verosimili, non sono accadute, ma sarebbero potute accadere
all’interno di quel contesto storico. Proprio attraverso le vicende immaginarie
di Renzo e Lucia, Manzoni è riuscito a darci in maniera perfetta l’affresco di
un’epoca, con i suoi grandi e piccoli avvenimenti. al punto da spingere la critica
letteraria ad affermare che il Seicento è il vero protagonista del romanzo.
•
Per le caratteristiche fin qui descritte I
promessi sposi appartiene al genere del romanzo storico. Questo genere era
stato proposto in Europa con grande successo negli anni 1814-1820 dallo
scrittore scozzese Walter Scott (1771-1832). Manzoni, che aveva letto e
commentato con l’amico Fauriel l’opera scottiana Ivanhoe (1820), ne sottolineò alcuni difetti soprattutto il gusto
del pittoresco e degli intrecci avventurosi, la mescolanza della fantasia con
la realtà anche nella rievocazione di fatti e personaggi storici.
•
Criticando lo spirito romanzesco delle opere di Walter Scott, il 22 maggio 1822
scriveva a Fauriel: «Faccio il possibile per compenetrarmi nello spirito del
tempo, che debbo descrivere, per viverci dentro». Di fatto, secondo il Manzoni
anche i casi e i personaggi inventati dovevano apparire del tutto «simili al
vero», ideati attraverso uno studio approfondito delle condizioni storiche.
Alla ricostruzione precisa del quadro storico in cui sono inseriti i
personaggi, contribuiscono le numerose digressioni del romanzo, pagine in cui
l’autore sospende l’intreccio per dare ampie informazioni su eventi storici
realmente accaduti. Una delle più famose digressioni dei Promessi sposi è
quella dedicata all’epidemia di peste che colpì Milano nel 1630.
•
La visione profondamente morale e religiosa della storia non consentiva allo
scrittore di rappresentare i costumi popolari nella dimensione immaginosa dello
Scott, ma lo impegnava a descrivere le sofferenze e i valori degli umili, per
«strapparli al silenzio della storia»: «un’immensa moltitudine d’uomini, una
serie di generazioni […] passa sulla terra, inosservata, senza lasciarci
traccia» (da Discorso sopra alcuni punti
della storia longobardica in Italia).
IL
PROBLEMA DELLA LINGUA
•
Per istituire un rapporto vivo e aperto della letteratura con la realtà, il
Manzoni si impegnò nella ricerca di una lingua scritta vicina il più possibile
alla lingua parlata. Parallelamente alla
stesura del romanzo, Manzoni elaborava le proprie riflessioni sul problema della
lingua in due scritti, il Sentir messa
e la Lettera al Carena sulla lingua
italiana.
Nel
Sentir messa, scritto tra il 1835 e
il 1836 e pubblicato postumo, egli afferma che:
•
fondamento e norma di una lingua è l’uso
•
fondamento della lingua italiana è l’uso o il modello toscano perché «gli
scrittori toscani di nascita e gli scrittori toscani di elezione sono stati in
tutta Italia ricevuti e studiati più o meno per iscrittori di lingua».
•
La formulazione definitiva della teoria linguistica del Manzoni è espressa
nella Lettera al Carena sulla lingua
italiana (1846), in cui Manzoni afferma che «la lingua italiana deve essere
la lingua parlata dal popolo colto della città di Firenze». Tuttavia, se in
tale lingua manca la parola di cui si ha bisogno, «è cosa ragionevole» cercarla
altrove: prima di tutto in altri «idiomi toscani così affini all’uso
fiorentino»; in secondo luogo, se anche lì non c’è quanto si cerca, si può ricorrere
a «vocaboli di qualunque altro idioma» italiano, oppure a «lingue morte» o a
«lingue straniere».
Questa
teoria linguistica, pur con i suoi limiti, ha avuto il merito di promuovere
nella nostra letteratura un modo di scrivere vicino alla realtà.
LA
COMPOSIZIONE DEI PROMESSI SPOSI
Lunga
ed elaborata fu per Alessandro Manzoni (1785-1873) la composizione del suo
capolavoro. Tra il 1821 e il 1823 scrisse la prima redazione dell’opera con il
titolo Fermo e Lucia. Questa stesura
fu ampiamente rivista e risistemata nei contenuti e nella struttura e venne
pubblicata nel 1827 con il titolo definitivo I promessi sposi. Dal 1827 al 1840, anno dell’edizione definitiva
del romanzo, Manzoni si dedicò ad un’accurata revisione linguistica dell’opera.
Nei Promessi sposi le vicende dei
personaggi sono inserite in un contesto storico preciso e accuratamente
ricostruito, sullo sfondo del quale agiscono personaggi storici e immaginari.
Il
romanzo è ambientato nella Lombardia della prima metà del Seicento, al tempo
della dominazione spagnola. Le vicende private di Renzo e Lucia si intrecciano
agli eventi realmente accaduti in quel periodo: la carestia, la sommossa
popolare di Milano, la guerra per la successione del ducato di Mantova. L’arrivo
dei lanzichenecchi, la peste. Per spiegare questi eventi che condizionano
l’intreccio del romanzo, in quanto coinvolgono direttamente o indirettamente i
protagonisti, l’autore interviene spesso nella narrazione con ampie digressioni,
dalle quali emerge la sua costante attenzione al vero storico. A intessere il
quadro dell’epoca si alternano nel romanzo, ma sempre con studiato equilibrio,
fatti veri e fatti verosimili.
Pur
trovando efficace la formula del romanzo storico per illuminare la storia vera
attraverso una storia inventata, Manzoni operò in direzione antiscottiana,
proponendosi di evitare in ogni modo quello che egli chiamò «il romanzesco».
Attraverso il nuovo genere, moderno e popolare, egli espresse le sue
convinzioni morali e religiose, e una concezione alta e severa sia della storia
sia del l’opera letteraria.
GLI
UMILI IN PRIMO PIANO
A
suo parere storia e invenzione letteraria devono avere per oggetto il vero, ma,
mentre la prima riferisce solo i grandi eventi, come le guerre o i trattati di
pace decisi e conclusi dai potenti, la seconda indaga le passioni che muovono
gli uomini nelle loro azioni, e si sofferma sulla sorte degli umili, cioè di
coloro che scontano, con grave tributo di sofferenze e di lutti, le decisioni
altrui. Nella poetica manzoniana la realtà storica subisce, attraverso
l’invenzione letteraria, un processo di inveramento psicologico.
Il
modello manzoniano di romanzo si fonda non sugli intrecci avventurosi e
sentimentali, ma sulla accuratezza della ricostruzione della realtà storica e
su un profondo sentimento morale e religioso. La vicenda dei Promessi sposi nasce da un’indagine
storica approfondita sulle condizioni del ducato di Milano nel Seicento e
conduce sulla scena due esponenti del popolo, la cui psicologia è analizzata
con grande finezza e profondità: gente umile, portatrice di valori religiosi e
morali e in netta antitesi con i potenti, arroccati nel loro orgoglio nobiliare
e tenaci difensori dei propri privilegi.
Manzoni
trasmise alla sua opera lo scopo educativo di elevare il livello culturale e morale
della società. I promessi sposi
recavano anche un messaggio patriottico, destinato ai lettori del tempo,
insito nel parallelismo fra l’oppressione spagnola sulla Lombardia del Seicento
e quella austriaca dèll’Ottocento.
LE
TRE REDAZIONI DEL ROMANZO
Manzoni
ha lasciato tre redazioni del suo romanzo. La prima, del 1821-1823, inedita fino
all’inizio del 1900, si intitola Fermo e Lucia
ed è da molti considerata un romanzo a sé stante; il manoscritto è accompagnato
da una Appendice storica sulla colonna infame
che contiene la documentazione dei processi agli untori durante la peste del
1630. La seconda stesura del romanzo è contenuta in un manoscritto al quale
dapprima fu dato il titolo provvisorio Gli
sposi promessi e in seguito quello definitivo I promessi sposi, con il sottotitolo Storia milanese scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni. L’opera
fu data alle stampe tra il 1825 e il 1827, in tre volumi, presso l’editore milanese
Vincenzo Ferrario.
Se
la lingua del Fermo e Lucia fu definita dallo stesso Manzoni «un composto
indigesto di frasi un po’ lombarde, un po’ toscane, un p’ francesi, un po’
anche latine», nella ventisettana l’autore scelse la soluzione dell’uso toscano
e la mise in atto riscrivendo tutto il romanzo. Ma la forma toscana, costruita
dalla consultazione di libri e dizionari, risultava ancora poco spontanea, come
dimostrò la successiva edizione.
La
terza stesura, quella definitiva, nacque da una revisione linguistica della
prece dente. Manzoni, infatti, nell’estate del 1827 effettuò un viaggio a
Firenze per «risciacquare i panni in Arno», cioè per impratichirsi della lingua
toscana ascoltando coloro che la parlavano correttamente. Si era reso conto,
infatti, che la lingua che aveva appreso dai libri e dai dizionari era lontana
dall’espressione reale e solamente nel fiorentino della conversazione borghese
trovò la soluzione linguistica proponibile al pubblico del suo romanzo. La
riscrittura dell’opera fu ultimata nel 1840. Il testo uscì tra il 1840 e il 1842, in 108 fascicoli
illustrati. Si tratta dell’edizione chiamata «quarantana». Nel corso della
stampa, il Manzoni continuò a rivedere e a correggere il testo, tanto che
possediamo esemplari diversi tra loro. In appendice alla «quarantana», apparve
la Storia della colonna infame.
IL
PROBLEMA LINGUISTICO
La
composizione dei Promessi sposi spinse
Manzoni ad interessarsi specialmente del problema linguistico: contro le
esagerazioni dei puristi e contro il formalismo dei classicisti, egli seguì le
teorie romantiche di una lingua viva e parlata, come abbiamo già detto aderente
alla realtà umana espressa nel romanzo; egli considerava modello di un
linguaggio di questo tipo il fiorentino, non la lingua morta di Dante o
Boccaccio (come esigevano certi classicisti), ma quella parlata, viva e
attuale, delle persone colte di Firenze. Per questo fece il suo viaggio per
«risciacquare i panni in Arno», ovvero per acquisire sul posto gli elementi
della lingua di cui intese servirsi.
La
necessità di unità linguistica sulla base della lingua toscana, secondo Manzoni,
era determinata anche dall’esigenza di unità nazionale. Egli non poteva
concepire l’unità politica ed etnica dell’Italia che non si accompagnasse
all’unità della lingua.
La
posizione manzoniana nei riguardi dei problemi linguistici fu di grande importanza
nell’Ottocento perché liberò la lingua italiana dai condizionamenti stilistici
dei modelli del passato e l’avviò al dinamismo moderno.
LA
TRAMA
Il
romanzo racconta le travagliate vicende di due giovani popolani, Renzo
Tramaglino e Lucia Mondella, il cui matrimonio viene impedito da un prepotente
signorotto locale invaghitosi di Lucia, don Rodrigo, simbolo dello strapotere
della nobiltà sulla popolazione sottomessa. Dopo innumerevoli peripezie, che
vedono Lucia catturata dal potente innominato e Renzo coinvolto a Milano in una
sommossa popolare, grazie al l’aiuto di vari personaggi che intervengono a
favore dei due sfortunati (fondamentale sarà l’aiuto di fra Cristoforo), i
promessi sposi riusciranno alla fine a ricongiungersi e a celebrare le nozze. il
lieto fine della vicenda, dopo tutti i pericoli che i due protagonisti hanno
corso, tra cui quello terribile della peste, dimostra, secondo l’autore,
l’esistenza di una «Provvidenza divina», che aiuta coloro che hanno fede e
interviene a sostenere gli umili e gli indifesi
Questi
sono i personaggi principali del romanzo:
•
Renzo Tramaglino, il giovane che vuole sposarsi, onesto, lavoratore, ma
imprudente e pronto a ribellarsi alle ingiustizie: alla fine capirà che bisogna
accettare la volontà di Dio;
•
Lucia Mondella, la giovane promessa in sposa a Renzo, mite ma determinata, decisa
a portare avanti il suo ideale religioso ad ogni costo; alla fine anche lei si
adatterà al compromesso e a vivere la vita reale;
•
Don Abbondio, il sacerdote che dovrebbe sposare i due giovani, codardo, arrogante
con i più deboli, servile con i potenti; rappresenta un modello negativo
secondo il quale la religione è asservita al potere;
•
Don Rodrigo, il signore del luogo, ricco e potente che ostacola, per scommessa,
il matrimonio di Lucia e Renzo; vive nell’illegalità e usa la violenza per
raggiungere i suoi scopi, ma è destinato a una fine ignobile;
•
L’innominato, figura misteriosa, tra storia e invenzione, di uomo potentissimo
e malvagio che si converte alla fede e ritrova la salvezza. Nel suo castello
verrà rinchiusa Lucia dopo essere stata rapita;
•
La monaca di Monza, al secolo Gertrude, personaggio in parte ispirato a una
donna realmente esistita, suora del monastero in cui trova rifugio Lucia.
Costretta a prendere i voti contro la sua volontà, Gertrude è una donna dalla
psicologia contorta e malata, che non ha saputo trovare conforto nella fede e
ha imboccato la via sbagliata che la porta a procurare il male a se stessa e
agli altri;
•
Padre Cristoforo, il frate cappuccino che aiuta i due giovani sfortunati:
rappresenta un modello ideale di religioso, umile, pronto a sacrificarsi per
gli altri, ma anche coraggioso con i prevaricatori. Al contrario della monaca di
Monza, la sua scelta di prendere i voti è libera e consapevole, dettata dal
vero amore per Dio e per il prossimo.
Si
noti che il capovolgimento della trama, che porterà al lieto fine del romanzo,
si avrà proprio quando uno di questi personaggi principali muta il suo ruolo e
da oppressore si fa aiutante delle vittime: si tratta dell’innominato, che da
oppressore aveva rapito Lucia per consegnarla a don Rodrigo, ma che, in seguito
alla conversione, libera la giovane diventando suo aiutante.
Accanto
a questi personaggi principali ruotano molti personaggi minori, descritti da
Manzoni in modo molto efficace, ma ritenuti minori in relazione alla loro meno
incisi va rilevanza nello sviluppo della vicenda del romanzo. Ciascuno di
questi personaggi può comunque rientrare nel gruppo degli aiutanti delle
vittime o in quello degli strumenti degli oppressori, anche se in modo di volta
in volta involontario o indiretto.
Di
questi personaggi minori ne ricordiamo alcuni. Agnese, la madre di Lucia, che
spesso parla in vece della timida e spaventata figliola; Tonio e Geuvaso, due
giovani fratelli amici di Renzo, che tenteranno di aiutarlo facendo da
testimoni durante il matrimonio a sorpresa; Perpetua, la domestica
chiacchierona di don Abbondio. Questi personaggi fanno parte di una schiera di
“buoni”, che in qualche modo aiutano o comunque sono solidali con le vittime.
Numerosi sono i personaggi “cattivi” del romanzo, che quindi fanno parte della
schiera degli oppressori. Tra essi primi fra tutti i bravi, uomini loschi e
senza scrupoli, spesso ex carcerati, al servizio dei potenti, che si servono di
loro per commettere scelleratezze e soprusi a danno degli umili (tra i bravi
spiccano la figura del Griso a servizio di don Rodrigo, e quella del Nibbio, al
servizio dell’innominato). Tra i “cattivi” c’è anche l’avvocato
Azzecca-garbugli, il cui mestiere consiste nell’interpretare la legge in modo
che gli unici ad avere “giustizia” siano i potenti. Personaggi negativi del
romanzo sono quasi tutti coloro che rappresentano la legge e il governo (come
il cancelliere spagnolo Ferrer) e che appartengono alla nobiltà (come il conte
Attilio ed Egidio, l’amante di Gertrude e suo complice nell’assassinio di una
monaca).
LA
STRUTTURA E IL NARRATORE
Nella
stesura definitiva il romanzo si compone di trentotto capitoli più
l’introduzione in cui viene specificato l’argomento e la genesi dell’opera:
«Storia milanese del secolo XVII scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni».
Per
quanto riguarda la modalità narrativa, infatti, l’autore finge di aver ricavato
la sua storia dal manoscritto di un anonimo del Seicento: ma la finzione del
manoscritto è solo un gioco di simulazione con i lettori, perché lo scopo di
Manzoni è quello di rendere la storia «vera» e quindi più «interessante»,
secondo la sua concezione artistica. Nella finzione letteraria, dunque, il
narratore della vicenda è colui che, nel presente (cioè nell’Ottocento), ha
copiato e rielaborato la storia dell’anonimo del Seicento:
Questo
elemento è importante perché consente all’autore di prendere le distanze dal la
vicenda e dai suoi personaggi per poter essere un giudice imparziale e
criticare quel tipo di società così ingiusta e oppressiva.
Il
modello di narratore che si delinea all’interno dei Promessi sposi è quello del narratore onnisciente che sa tutto dei
personaggi, controlla e manipola dall’alto l’intero svolgersi della vicenda.
Inoltre il suo giudizio è inappellabile perché possiede la verità assoluta.
L’AMBIENTAZIONE
Il
romanzo è ambientato tra Lecco e Milano, al tempo della dominazione spagnola:
le vicende storiche che sono parte integrante della narrazione romanzesca
prendono spunto da eventi realmente accaduti tra 1628 e il 1630: la carestia e
i tumulti popolari, la guerra del Monferrato e la discesa dei lanzichenecchi,
la terribile epidemia di peste. La storia ufficiale quindi non è semplice sfondo
o cornice, ma è per molti aspetti protagonista perché condiziona la vita di
tutti. La scelta di ambientare il romanzo nel Seicento consente all’autore di
mostrare una società ingiusta, fondata sul sopruso e sulla violenza, in cui le
masse sono oppresse e i potenti agiscono spesso nell’illegalità. A questo
modello di società corrotta Manzoni contrappone un ideale di giustizia, di
equilibrio sociale, di libertà individuale che rispecchia le sue convinzioni
religiose e filosofiche: questi concetti morali vengono resi espliciti
attraverso personaggi e vicende esemplari (il cardinale Borromeo, padre Cristoforo,
la conversione dell’innominato).
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