giovedì 2 maggio 2013

IL ROMANZO STORICO

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IL ROMANZO STORICO

• I1 romanzo storico è una narrazione in cui, sullo sfondo di avvenimenti realmente accaduti in epoche molto lontane, si proietta la vicenda immaginaria dei protagonisti, del tutto coerente col contesto storico in cui si inserisce. I1 «vero» della storia si fonde col «verosimile» dell’invenzione: il punto di vista non si sofferma sul quadro storico, ma sulla vicenda umana, intessuta di sentimenti e di emozioni. Questa visualizzazione ingrandita e animata del passato è ordita su alcune scelte formali di base
:
• il narratore non si identifica in nessun personaggio, ma assume il ruolo di ordinatore esterno e onnisciente che tiene in pugno i fili della narrazione conoscendo dall’inizio i destini dei personaggi e l’evolversi delle vicende;
• le parti descrittive sono ampie e analitiche e riguardano tanto gli ambienti e le azioni, quanto i caratteri dei personaggi.
• A dare l’avvio al romanzo storico è lo scrittore scozzese Walter Scott (1771-1832) con la composizione di Waverley, pubblicato anonimo nel 1814. L’enorme successo lo spinge a una febbrile attività che lo porta a comporre ventuno romanzi in circa undici anni. La tecnica narrativa di Scott si raffina ulteriormente nei romanzi successivi e lo scrittore arriva ad elaborare meccanismi che si ripetono a ogni nuovo libro, dando luogo al cosiddetto modello scottiano. Gli immancabili ingredienti sono gli sfondi storici spettacolari e convenzionali e le straordinarie avventure dei protagonisti (intrighi, episodi di duelli e di tornei, colpi di scena, riconoscimenti di persone che si credevano scomparse e che si erano camuffate sotto un’altra identità). Letti al giorno d’oggi, i romanzi di Scott presentano limiti e ingenuità: la trama un po’ macchinosa e il livello deludente di analisi psicologica dei personaggi sbrigativamente classificati in buoni e cattivi. Ma il merito di questo scrittore è l’aver dato vita a tipi umani che incarnano, nel rispetto della storia, i comportamenti sociali tipici dell’epoca in cui sono calati. Questa tendenza, estremamente innovativa all’inizio dell’Ottocento, avrebbe favorito negli scrittori successivi l’impegno per un’arte più realistica e attenta alle problematiche sociali, secondo una linea evolutiva della quale Alessandro Manzoni, Victor Hugo e Honoré de Balzac sarebbero stati gli interpreti più autorevoli.

LA POETICA DI MANZONI NEI “PROMESSI SPOSI”

È importante capire che per Manzoni il «vero poetico» non è invenzione per il gusto di inventare, ma invenzione per completare in tutti i dettagli possibili la ricostruzione della realtà storica, che non è fatta solo di grandi eventi, ma anche di piccoli eventi ignoti, eppure determinanti: ebbene, questi si possono immaginare, ma sempre allo scopo di arricchire, approfondire la conoscenza della realtà storica.
Protagonisti dei Promessi sposi sono dunque due personaggi immaginari che si muovono all’interno di un contesto storico accuratamente ricostruito e interagiscono con personaggi storici Le 1oro vicende non sono vere, ma verosimili, non sono accadute, ma sarebbero potute accadere all’interno di quel contesto storico. Proprio attraverso le vicende immaginarie di Renzo e Lucia, Manzoni è riuscito a darci in maniera perfetta l’affresco di un’epoca, con i suoi grandi e piccoli avvenimenti. al punto da spingere la critica letteraria ad affermare che il Seicento è il vero protagonista del romanzo.
• Per le caratteristiche fin qui descritte I promessi sposi appartiene al genere del romanzo storico. Questo genere era stato proposto in Europa con grande successo negli anni 1814-1820 dallo scrittore scozzese Walter Scott (1771-1832). Manzoni, che aveva letto e commentato con l’amico Fauriel l’opera scottiana Ivanhoe (1820), ne sottolineò alcuni difetti soprattutto il gusto del pittoresco e degli intrecci avventurosi, la mescolanza della fantasia con la realtà anche nella rievocazione di fatti e personaggi storici.
• Criticando lo spirito romanzesco delle opere di Walter Scott, il 22 maggio 1822 scriveva a Fauriel: «Faccio il possibile per compenetrarmi nello spirito del tempo, che debbo descrivere, per viverci dentro». Di fatto, secondo il Manzoni anche i casi e i personaggi inventati dovevano apparire del tutto «simili al vero», ideati attraverso uno studio approfondito delle condizioni storiche. Alla ricostruzione precisa del quadro storico in cui sono inseriti i personaggi, contribuiscono le numerose digressioni del romanzo, pagine in cui l’autore sospende l’intreccio per dare ampie informazioni su eventi storici realmente accaduti. Una delle più famose digressioni dei Promessi sposi è quella dedicata all’epidemia di peste che colpì Milano nel 1630.
• La visione profondamente morale e religiosa della storia non consentiva allo scrittore di rappresentare i costumi popolari nella dimensione immaginosa dello Scott, ma lo impegnava a descrivere le sofferenze e i valori degli umili, per «strapparli al silenzio della storia»: «un’immensa moltitudine d’uomini, una serie di generazioni […] passa sulla terra, inosservata, senza lasciarci traccia» (da Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia).



IL PROBLEMA DELLA LINGUA

• Per istituire un rapporto vivo e aperto della letteratura con la realtà, il Manzoni si impegnò nella ricerca di una lingua scritta vicina il più possibile alla lingua parlata.  Parallelamente alla stesura del romanzo, Manzoni elaborava le proprie riflessioni sul problema della lingua in due scritti, il Sentir messa e la Lettera al Carena sulla lingua italiana.
Nel Sentir messa, scritto tra il 1835 e il 1836 e pubblicato postumo, egli afferma che:
• fondamento e norma di una lingua è l’uso
• fondamento della lingua italiana è l’uso o il modello toscano perché «gli scrittori toscani di nascita e gli scrittori toscani di elezione sono stati in tutta Italia ricevuti e studiati più o meno per iscrittori di lingua».
• La formulazione definitiva della teoria linguistica del Manzoni è espressa nella Lettera al Carena sulla lingua italiana (1846), in cui Manzoni afferma che «la lingua italiana deve essere la lingua parlata dal popolo colto della città di Firenze». Tuttavia, se in tale lingua manca la parola di cui si ha bisogno, «è cosa ragionevole» cercarla altrove: prima di tutto in altri «idiomi toscani così affini all’uso fiorentino»; in secondo luogo, se anche lì non c’è quanto si cerca, si può ricorrere a «vocaboli di qualunque altro idioma» italiano, oppure a «lingue morte» o a «lingue straniere».
Questa teoria linguistica, pur con i suoi limiti, ha avuto il merito di promuovere nella nostra letteratura un modo di scrivere vicino alla realtà.

LA COMPOSIZIONE DEI PROMESSI SPOSI

Lunga ed elaborata fu per Alessandro Manzoni (1785-1873) la composizione del suo capolavoro. Tra il 1821 e il 1823 scrisse la prima redazione dell’opera con il titolo Fermo e Lucia. Questa stesura fu ampiamente rivista e risistemata nei contenuti e nella struttura e venne pubblicata nel 1827 con il titolo definitivo I promessi sposi. Dal 1827 al 1840, anno dell’edizione definitiva del romanzo, Manzoni si dedicò ad un’accurata revisione linguistica dell’opera. Nei Promessi sposi le vicende dei personaggi sono inserite in un contesto storico preciso e accuratamente ricostruito, sullo sfondo del quale agiscono personaggi storici e immaginari.
Il romanzo è ambientato nella Lombardia della prima metà del Seicento, al tempo della dominazione spagnola. Le vicende private di Renzo e Lucia si intrecciano agli eventi realmente accaduti in quel periodo: la carestia, la sommossa popolare di Milano, la guerra per la successione del ducato di Mantova. L’arrivo dei lanzichenecchi, la peste. Per spiegare questi eventi che condizionano l’intreccio del romanzo, in quanto coinvolgono direttamente o indirettamente i protagonisti, l’autore interviene spesso nella narrazione con ampie digressioni, dalle quali emerge la sua costante attenzione al vero storico. A intessere il quadro dell’epoca si alternano nel romanzo, ma sempre con studiato equilibrio, fatti veri e fatti verosimili.
Pur trovando efficace la formula del romanzo storico per illuminare la storia vera attraverso una storia inventata, Manzoni operò in direzione antiscottiana, proponendosi di evitare in ogni modo quello che egli chiamò «il romanzesco». Attraverso il nuovo genere, moderno e popolare, egli espresse le sue convinzioni morali e religiose, e una concezione alta e severa sia della storia sia del l’opera letteraria.

GLI UMILI IN PRIMO PIANO

A suo parere storia e invenzione letteraria devono avere per oggetto il vero, ma, mentre la prima riferisce solo i grandi eventi, come le guerre o i trattati di pace decisi e conclusi dai potenti, la seconda indaga le passioni che muovono gli uomini nelle loro azioni, e si sofferma sulla sorte degli umili, cioè di coloro che scontano, con grave tributo di sofferenze e di lutti, le decisioni altrui. Nella poetica manzoniana la realtà storica subisce, attraverso l’invenzione letteraria, un processo di inveramento psicologico.
Il modello manzoniano di romanzo si fonda non sugli intrecci avventurosi e sentimentali, ma sulla accuratezza della ricostruzione della realtà storica e su un profondo sentimento morale e religioso. La vicenda dei Promessi sposi nasce da un’indagine storica approfondita sulle condizioni del ducato di Milano nel Seicento e conduce sulla scena due esponenti del popolo, la cui psicologia è analizzata con grande finezza e profondità: gente umile, portatrice di valori religiosi e morali e in netta antitesi con i potenti, arroccati nel loro orgoglio nobiliare e tenaci difensori dei propri privilegi.
Manzoni trasmise alla sua opera lo scopo educativo di elevare il livello culturale e morale della società. I promessi sposi recavano anche un messaggio patriottico, destinato ai lettori del tempo, insito nel parallelismo fra l’oppressione spagnola sulla Lombardia del Seicento e quella austriaca dèll’Ottocento.



LE TRE REDAZIONI DEL ROMANZO

Manzoni ha lasciato tre redazioni del suo romanzo. La prima, del 1821-1823, inedita fino all’inizio del 1900, si intitola Fermo e Lucia ed è da molti considerata un romanzo a sé stante; il manoscritto è accompagnato da una Appendice storica sulla colonna infame che contiene la documentazione dei processi agli untori durante la peste del 1630. La seconda stesura del romanzo è contenuta in un manoscritto al quale dapprima fu dato il titolo provvisorio Gli sposi promessi e in seguito quello definitivo I promessi sposi, con il sottotitolo Storia milanese scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni. L’opera fu data alle stampe tra il 1825 e il 1827, in tre volumi, presso l’editore milanese Vincenzo Ferrario.
Se la lingua del Fermo e Lucia fu definita dallo stesso Manzoni «un composto indigesto di frasi un po’ lombarde, un po’ toscane, un p’ francesi, un po’ anche latine», nella ventisettana l’autore scelse la soluzione dell’uso toscano e la mise in atto riscrivendo tutto il romanzo. Ma la forma toscana, costruita dalla consultazione di libri e dizionari, risultava ancora poco spontanea, come dimostrò la successiva edizione.
La terza stesura, quella definitiva, nacque da una revisione linguistica della prece dente. Manzoni, infatti, nell’estate del 1827 effettuò un viaggio a Firenze per «risciacquare i panni in Arno», cioè per impratichirsi della lingua toscana ascoltando coloro che la parlavano correttamente. Si era reso conto, infatti, che la lingua che aveva appreso dai libri e dai dizionari era lontana dall’espressione reale e solamente nel fiorentino della conversazione borghese trovò la soluzione linguistica proponibile al pubblico del suo romanzo. La riscrittura dell’opera fu ultimata nel 1840. Il testo uscì tra il 1840 e il 1842, in 108 fascicoli illustrati. Si tratta dell’edizione chiamata «quarantana». Nel corso della stampa, il Manzoni continuò a rivedere e a correggere il testo, tanto che possediamo esemplari diversi tra loro. In appendice alla «quarantana», apparve la Storia della colonna infame.

IL PROBLEMA LINGUISTICO

La composizione dei Promessi sposi spinse Manzoni ad interessarsi specialmente del problema linguistico: contro le esagerazioni dei puristi e contro il formalismo dei classicisti, egli seguì le teorie romantiche di una lingua viva e parlata, come abbiamo già detto aderente alla realtà umana espressa nel romanzo; egli considerava modello di un linguaggio di questo tipo il fiorentino, non la lingua morta di Dante o Boccaccio (come esigevano certi classicisti), ma quella parlata, viva e attuale, delle persone colte di Firenze. Per questo fece il suo viaggio per «risciacquare i panni in Arno», ovvero per acquisire sul posto gli elementi della lingua di cui intese servirsi.
La necessità di unità linguistica sulla base della lingua toscana, secondo Manzoni, era determinata anche dall’esigenza di unità nazionale. Egli non poteva concepire l’unità politica ed etnica dell’Italia che non si accompagnasse all’unità della lingua.
La posizione manzoniana nei riguardi dei problemi linguistici fu di grande importanza nell’Ottocento perché liberò la lingua italiana dai condizionamenti stilistici dei modelli del passato e l’avviò al dinamismo moderno.

LA TRAMA

Il romanzo racconta le travagliate vicende di due giovani popolani, Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, il cui matrimonio viene impedito da un prepotente signorotto locale invaghitosi di Lucia, don Rodrigo, simbolo dello strapotere della nobiltà sulla popolazione sottomessa. Dopo innumerevoli peripezie, che vedono Lucia catturata dal potente innominato e Renzo coinvolto a Milano in una sommossa popolare, grazie al l’aiuto di vari personaggi che intervengono a favore dei due sfortunati (fondamentale sarà l’aiuto di fra Cristoforo), i promessi sposi riusciranno alla fine a ricongiungersi e a celebrare le nozze. il lieto fine della vicenda, dopo tutti i pericoli che i due protagonisti hanno corso, tra cui quello terribile della peste, dimostra, secondo l’autore, l’esistenza di una «Provvidenza divina», che aiuta coloro che hanno fede e interviene a sostenere gli umili e gli indifesi
Questi sono i personaggi principali del romanzo:
• Renzo Tramaglino, il giovane che vuole sposarsi, onesto, lavoratore, ma imprudente e pronto a ribellarsi alle ingiustizie: alla fine capirà che bisogna accettare la volontà di Dio;
• Lucia Mondella, la giovane promessa in sposa a Renzo, mite ma determinata, decisa a portare avanti il suo ideale religioso ad ogni costo; alla fine anche lei si adatterà al compromesso e a vivere la vita reale;
• Don Abbondio, il sacerdote che dovrebbe sposare i due giovani, codardo, arrogante con i più deboli, servile con i potenti; rappresenta un modello negativo secondo il quale la religione è asservita al potere;
• Don Rodrigo, il signore del luogo, ricco e potente che ostacola, per scommessa, il matrimonio di Lucia e Renzo; vive nell’illegalità e usa la violenza per raggiungere i suoi scopi, ma è destinato a una fine ignobile;
• L’innominato, figura misteriosa, tra storia e invenzione, di uomo potentissimo e malvagio che si converte alla fede e ritrova la salvezza. Nel suo castello verrà rinchiusa Lucia dopo essere stata rapita;
• La monaca di Monza, al secolo Gertrude, personaggio in parte ispirato a una donna realmente esistita, suora del monastero in cui trova rifugio Lucia. Costretta a prendere i voti contro la sua volontà, Gertrude è una donna dalla psicologia contorta e malata, che non ha saputo trovare conforto nella fede e ha imboccato la via sbagliata che la porta a procurare il male a se stessa e agli altri;
• Padre Cristoforo, il frate cappuccino che aiuta i due giovani sfortunati: rappresenta un modello ideale di religioso, umile, pronto a sacrificarsi per gli altri, ma anche coraggioso con i prevaricatori. Al contrario della monaca di Monza, la sua scelta di prendere i voti è libera e consapevole, dettata dal vero amore per Dio e per il prossimo.
Si noti che il capovolgimento della trama, che porterà al lieto fine del romanzo, si avrà proprio quando uno di questi personaggi principali muta il suo ruolo e da oppressore si fa aiutante delle vittime: si tratta dell’innominato, che da oppressore aveva rapito Lucia per consegnarla a don Rodrigo, ma che, in seguito alla conversione, libera la giovane diventando suo aiutante.
Accanto a questi personaggi principali ruotano molti personaggi minori, descritti da Manzoni in modo molto efficace, ma ritenuti minori in relazione alla loro meno incisi va rilevanza nello sviluppo della vicenda del romanzo. Ciascuno di questi personaggi può comunque rientrare nel gruppo degli aiutanti delle vittime o in quello degli strumenti degli oppressori, anche se in modo di volta in volta involontario o indiretto.
Di questi personaggi minori ne ricordiamo alcuni. Agnese, la madre di Lucia, che spesso parla in vece della timida e spaventata figliola; Tonio e Geuvaso, due giovani fratelli amici di Renzo, che tenteranno di aiutarlo facendo da testimoni durante il matrimonio a sorpresa; Perpetua, la domestica chiacchierona di don Abbondio. Questi personaggi fanno parte di una schiera di “buoni”, che in qualche modo aiutano o comunque sono solidali con le vittime. Numerosi sono i personaggi “cattivi” del romanzo, che quindi fanno parte della schiera degli oppressori. Tra essi primi fra tutti i bravi, uomini loschi e senza scrupoli, spesso ex carcerati, al servizio dei potenti, che si servono di loro per commettere scelleratezze e soprusi a danno degli umili (tra i bravi spiccano la figura del Griso a servizio di don Rodrigo, e quella del Nibbio, al servizio dell’innominato). Tra i “cattivi” c’è anche l’avvocato Azzecca-garbugli, il cui mestiere consiste nell’interpretare la legge in modo che gli unici ad avere “giustizia” siano i potenti. Personaggi negativi del romanzo sono quasi tutti coloro che rappresentano la legge e il governo (come il cancelliere spagnolo Ferrer) e che appartengono alla nobiltà (come il conte Attilio ed Egidio, l’amante di Gertrude e suo complice nell’assassinio di una monaca).

LA STRUTTURA E IL NARRATORE

Nella stesura definitiva il romanzo si compone di trentotto capitoli più l’introduzione in cui viene specificato l’argomento e la genesi dell’opera: «Storia milanese del secolo XVII scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni».
Per quanto riguarda la modalità narrativa, infatti, l’autore finge di aver ricavato la sua storia dal manoscritto di un anonimo del Seicento: ma la finzione del manoscritto è solo un gioco di simulazione con i lettori, perché lo scopo di Manzoni è quello di rendere la storia «vera» e quindi più «interessante», secondo la sua concezione artistica. Nella finzione letteraria, dunque, il narratore della vicenda è colui che, nel presente (cioè nell’Ottocento), ha copiato e rielaborato la storia dell’anonimo del Seicento:
Questo elemento è importante perché consente all’autore di prendere le distanze dal la vicenda e dai suoi personaggi per poter essere un giudice imparziale e criticare quel tipo di società così ingiusta e oppressiva.
Il modello di narratore che si delinea all’interno dei Promessi sposi è quello del narratore onnisciente che sa tutto dei personaggi, controlla e manipola dall’alto l’intero svolgersi della vicenda. Inoltre il suo giudizio è inappellabile perché possiede la verità assoluta.

L’AMBIENTAZIONE
Il romanzo è ambientato tra Lecco e Milano, al tempo della dominazione spagnola: le vicende storiche che sono parte integrante della narrazione romanzesca prendono spunto da eventi realmente accaduti tra 1628 e il 1630: la carestia e i tumulti popolari, la guerra del Monferrato e la discesa dei lanzichenecchi, la terribile epidemia di peste. La storia ufficiale quindi non è semplice sfondo o cornice, ma è per molti aspetti protagonista perché condiziona la vita di tutti. La scelta di ambientare il romanzo nel Seicento consente all’autore di mostrare una società ingiusta, fondata sul sopruso e sulla violenza, in cui le masse sono oppresse e i potenti agiscono spesso nell’illegalità. A questo modello di società corrotta Manzoni contrappone un ideale di giustizia, di equilibrio sociale, di libertà individuale che rispecchia le sue convinzioni religiose e filosofiche: questi concetti morali vengono resi espliciti attraverso personaggi e vicende esemplari (il cardinale Borromeo, padre Cristoforo, la conversione dell’innominato).

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