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È un dato di fatto
che, nonostante le iniziative del MIUR, molti ragazzi con DSA giungono
alla scuola
secondaria o all’università senza aver mai ricevuto una diagnosi.
Ciò non significa che
il disturbo sia scomparso: in forme diverse, con compensazioni più o meno
efficaci la
difficoltà infatti è sempre presente. A questo punto del percorso scolastico le
richieste sono ben
superiori e si dà per
scontato l’utilizzo automatico delle abilità strumentali di base come leggere,
scrivere, fare calcoli, prendere appunti, elaborare dei testi.
A ciò si aggiunga che
nella scuola superiore la conoscenza del disturbo è più carente che nella
scuola primaria, poiché la formazione sul tema si rivolge più di frequente ai
docenti della scuola primaria o secondaria di primo grado. L’opera di
sensibilizzazione, anche al livello di opinione pubblica, ha sicuramente reso
tutti i docenti più consapevoli del problema, ma siamo ancora lontani dal grado
di preparazione dei docenti dei Paesi che consente loro di individuare a colpo
sicuro la maggior parte degli studenti dislessici (non è raro, per esempio, che
studenti italiani in corso di vacanze studio in Inghilterra vengano scoperti
come dislessici in seguito all’indicazione di docenti inglesi).
Ma l’individuazione di un soggetto con DSA si può effettuare
con certezza solo attraverso una diagnosi. In Italia non è semplice ottenerla
quando ci riferiamo a soggetti adolescenti:
infatti
i servizi di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza non possono
occuparsi di persone di età superiore ai 18 anni, e tendono spesso a non
prendere in carico anche ragazzi dai 14 anni in poi. Ma il problema più serio è
la mancanza di strumenti adeguati per la diagnosi.
Infatti la dislessia
nell’adulto, come in età infantile, richiede la dimostrazione oggettiva di un
deficit della lettura in termini di rapidità e/o di accuratezza; pertanto è
necessario confrontare le prestazioni del soggetto in esame con dei valori normativi
forniti da un campione di soggetti normali della stessa età e
scolarità. I test
disponibili si fermano generalmente alla scuola secondaria di 1° grado. Solo
recentemente sono stati pubblicati dati fino al terzo anno della scuola
secondaria di secondo grado.
Risulta da varie
ricerche (Stella, 2008) che la rapidità di lettura continua a migliorare anche
oltre i 16 anni, fino almeno agli anni dell’università, per cui è evidente che
utilizzare i valori normativi derivati da un campione di riferimento di età
inferiore espone al rischio di errori diagnostici in difetto.
Il problema riguarda
in maniera anche più acuta gli studenti degli ultimi anni della scuola
secondaria. Infatti la normativa sui DSA permette alle persone con DSA di
accedere a facilitazioni didattiche e di valutazione (strumenti compensativi e
misure dispensative) particolarmente importanti agli esami di Stato. Sono
quindi molto
frequenti le richieste di diagnosi in questi studenti, in particolare nei mesi
precedenti l’esame, in cui emerge il dubbio (a lungo misconosciuto o celato) di
un DSA, la cui oggettiva dimostrazione fa accedere a un diritto.
La disponibilità di
centri per la diagnosi è pertanto uno dei problemi più sentiti in questo
momento, non solo nell’età evolutiva (in cui le risorse, pur presenti, sono
distribuite in maniera diseguale sul territorio e con una notevole variabilità
nel livello di qualità).
La comprensione del
problema e la sua gestione livello didattico e valutativo è ostacolata anche dalla
qualità assai diseguale dei documenti diagnostici. In effetti tuttora tali
relazioni sono estremamente eterogenee come struttura, contenuti, linguaggio; a
volte si riducono a poche righe in cui viene emessa la diagnosi, talvolta con
una terminologia disomogenea e poco comprensibile per chi non è del mestiere; abbastanza
raramente, se non in forma molto generica, sono contenute informazioni riguardo
alle strategie didattiche consigliate, o agli strumenti compensativi indicati
nel caso specifico. Su questo tema sono in atto notevoli progressi
dato che la Consensus
Conference sui DSA ha prodotto una serie di raccomandazioni per la pratica
clinica che, se applicate rigorosamente, forniscono le garanzie di una diagnosi
adeguata e una base comune più facilmente comprensibile per i non addetti;
ulteriori documenti del gruppo di lavoro della Consensus Conference forniranno
anche indicazione precise sulla stesura del referto e su quanto deve essere in
esso contenuto e sul tipo di linguaggio da utilizzare.
La scuola dovrebbe
comunque avere un minimo di informazioni specifiche che permettano di comprendere
i documenti diagnostici per utilizzarli anche per la scelta degli strumenti
compensativi e dispensativi
e per una
programmazione didattica personalizzata. Saper leggere le diagnosi (e far sì
che le diagnosi siano leggibili) sono elementi importanti nel percorso virtuoso
di gestione dei DSA a scuola, soprattutto se si considera che i rapporti fra la
scuola e gli operatori sanitari che hanno emesso la diagnosi sono spesso assai
limitati. La possibilità di un colloquio più proficuo e organico fra mondo della
scuola e servizi sanitari è essenziale per migliorare in futuro la gestione dei
DSA, e ciò si potrà ottenere mediante una parallela
evoluzione culturale
sul tema.
Enrico Ghidoni, Damiano Angelini, La dislessia negli adolescenti e negli adulti, in Annali della
pubblica istruzione, Rivista bimestrale del ministero dell’istruzione,
dell’università e della ricerca, 2/2010
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