venerdì 3 maggio 2013

LA RIVOLUZIONE AMERICANA

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LA RIVOLUZIONE AMERICANA

Affermazione dei nuovi principi illuministici, segno della crisi irreversibile dell’Antico regime.
Le colonie sorte nella fascia orientale del continente americano alla fine del Cinquecento avevano forti legami con la civiltà europea, ma anche caratteri specifici e originali. Il sovrano inglese aveva concesso lo sfruttamento dei nuovi territori a compagnie commerciali, a singoli individui, a comunità di coloni.
Le colonie non erano governate da Londra in modo centralizzato e il parlamento inglese legiferava solo sugli aspetti economici e non su quelli politici. C’era un governatore, ma le colonie godevano di autonomia dalla madrepatria. Contesto ambientale: spazi enormi, grandi distanze fra una comunità e l’altra, problema delle popolazioni indigene ostili.
Formazione di una società animata da un vivace spirito autonomistico e comunitario, con forte coscienza della propria diversità.

CHI ERANO I COLONI?

Erano dissidenti religiosi, come i puritani, perseguitati politici, contadini senza lavoro, piccoli artigiani e mercanti, giovani esponenti della nobiltà minore. Erano per lo più inglesi, ma anche francesi, scozzesi, irlandesi, tedeschi, olandesi, svedesi. Erano persone emarginate nella loro patria, di estrazione sociale medio-bassa, spesso animati da forti ideali politico-religiosi e dal desiderio di farsi una nuova vita. => Società più mobile e flessibile di quella europea dell’Antico regime; società priva di tradizioni e rapporti feudali, la nobiltà di nascita era irrilevante (non c’era rapporto fra nobiltà e proprietà terriera).
In America c’era terra in abbondanza e diveniva proprietario chi riusciva a coltivarla, magari scacciando le popolazioni indigene. L’ideologia fondamentale di questi lavoratori era una fortissima etica del lavoro, cioè l’idea, derivata dal calvinismo e dal puritanesimo, che l’uomo giusto si riconosce dal suo impegno nel lavoro e nel successo che deriva. => Spiccato senso della comunità, valore dell’individuo e del riconoscimento delle differenze economiche e sociali. La società coloniale era tutt’altro che egualitaria.
Le colonie avevano origini diverse, ma assunsero istituzioni simili. Formalmente il potere era concentrato nelle mani di un governatore, affiancato da Consigli. Ciascuna colonia aveva un’Assemblea legislativa. Le elezione dei membri avveniva in base al censo: quindi erano esclusi servi, schiavi, operai, pescatori, artigiani. Valevano poi le discriminazioni religiose verso cattolici ed ebrei.
Le colonie soffrivano di mancanza di manodopera. Per questo spregiudicati mercanti di uomini avevano stabilito dei centri di reclutamento, in Inghilterra e Olanda, dove i poveri che volevano emigrare, ma non avevano i mezzi per il viaggio, si vendevano come servi. In America esistevano mercati di servi, che venivano comprati con un impegno contrattuale di almeno 4 anni. Scaduto il contratto diventavano liberi, dotati di un piccolo capitale in denaro e beni. Se all’arrivo trovavano parenti o amici che li riscattavano diventavano subito liberi. Metà degli immigrati bianchi sono arrivati probabilmente con questo sistema.
Nelle colonie la religione aveva un grande rilievo, ma non esisteva una confessione in grado di dominare le altre.
Tipico rappresentante dei nuovi intellettuali coloniali settecenteschi fu B. Franklin (1709-90). La sua è la biografia del self made man. Di umili origini, da apprendista tipografo divenne autodidatta giornalista e poi editore. Si arricchì e si diede a i suoi interessi culturali epolitici. Genio versatile si occupò di medicina, elettricità, ottica. Inventò il parafulmine, le lenti bifocali, un tipo di stufa.

I RAPPORTI CON GLI INDIANI

Nella loro espansione i coloni inglesi si trovarono di fronte gli indigeni nord americani. A differenza degli indios latino americani, non si trasformarono in alcun modo in manodopera integrabile in un sistema di sfruttamento coloniale. Essi mantenevano i propri usi e costumi, la propria indipendenza, di cui erano fieri e posero l’alternativa ai coloni fra gli accordi e la guerra.
LA TRATTA DEGLI SCHIAVI

La disgrazia degli africani neri fu quella di apparire agli occhi degli europei, di lavorare con efficacia nelle piantagioni e nelle miniere americane, laddove gli indios si dimostravano inadeguati. Il metodo più usato per procacciarsi gli schiavi era quello di affidare ai capi locali, armati e finanziati, la caccia dei loro simili, che una volta presi venivano deportati. Così in buona parte dell’Africa nera vennero cancellate antiche identità etniche, sociali e culturali. Calcoli prudenti stimano in 10 milioni gli schiavi che lasciarono l’Africa, per lo più verso le Americhe.

RAPPORTI CON L’INGHILTERRA

Dal Settecento le colonie erano integrate nel sistema coloniale e commerciale inglese: Fornivano prodotti agricoli (grano e tabacco), pellicce, coloranti per tessuti (indaco); florida la produzione navale, di legname. Dalla madrepatria le colonie importavano prodotti tessili e siderurgici. I rapporti commerciali erano regolati da Londra a suo vantaggio: a) il parlamento inglese obbligava le colonie a esportare solo in Inghilterra, ad esempio il tabacco; b) i commerci si potevano svolgere solo attraverso navi inglesi; c) vietato ai sudditi americani produrre in proprio beni strategici per l’economia inglese (prodotti tessili e siderurgici); d) vietato importare manufatti da altri stati.
In cambio le colonie godevano della protezione militare inglese.

“NIENTE TASSE SENZA RAPPRESENTANZA”

Tensione per tutta la prima metà del Settecento. Ribellione: il governo inglese tentò di imporre la legge sul bollo (stamp act) cioè una tassa su giornali, atti legali, documenti commerciali. Era un provvedimento di scarsissimo rilievo economico, ma di alto valore simbolico => per la prima volta si tentava di imporre tasse alle colonie. Gli americani opposero un netto rifiuto, in base al principio, già sostenuto dai rivoluzionari inglesi del Seicento, che non può essere tassato chi non gode di rappresentanza politica (no taxation without representation). Le colonie non avevano deputati eletti in parlamento. Nasce un movimento di opinione così forte che il governo inglese deve ritirare il provvedimento.
Nel 1770 dei soldati inglesi uccisero 5 bostoniani, il cd “massacro di Boston”.
Nel 1773 il parlamento inglese approvò il Tea Act, la legge che conferì un carattere di irrimediabilità al conflitto. La Compagnie delle Indie aveva difficoltà finanziarie: grande eccedenza di tè invenduto, soffriva della concorrenza olandese. Il parlamento concesse agevolazioni fiscali all’esportazione di tè da parte della compagnia nelle colonie, mantenendo invariata la tassa sul tè di altra provenienza. Si gridò che si stabiliva un monopolio, e che presto ce ne sarebbero stati altri.
A Boston un gruppo di radicali anti inglesi travestiti da indiani mise in atto il cd Boston Tea Party: abbordò tre navi e gettò in mare il carico di tè. Era cominciata la ribellione americana contro l’Inghilterra.
Nel 1774 si riunì a Filadelfia il primo congresso dei rappresentanti delle colonie. Si stabilì la fondazione di un esercito unitario, la Continental Army, guidata da G. Washington.
Thomas Jefferson intanto redige la Dichiarazione di indipendenza, di chiara matrice illuminista. Viene approvata il 4 luglio 1776 da un nuovo congresso delle colonie  a Filadelfia. Per la prima volta si dà espressione politica ai principi di libertà, di uguaglianza civile e politica, del consenso come fonte di legittimazione.

FEDERAZIONE O CONFEDERAZIONE

La guerra fra le colonie e gli inglesi durò diversi anni: dal 1776 al 1783. I ribelli ebbero successo, anche grazie all’aiuto dei francesi (che sconfitti nella guerra dei 7 anni, 1756-63, avevano perso le colonie nell’America settentrionale a vantaggio degli inglesi).
Con il trattato di Parigi (3 febbraio 1783) Londra fu costretta a riconoscere l’indipendenza delle 13 colonie e la loro sovranità su tutti i territori americani fino al fiume Mississipi.
Si aprì però un importante problema politico: ciascuna colonia era uno stato sovrano, poiché si era data una costituzione, organi di governo e magistratura. Non erano quindi uno stato unitario.
Due linee:
1. creare una confederazione americana, nella quale ciascuna colonia avrebbe mantenuto la sovranità => colonie del Sud
2. creare una stato federale, in cui le singole colonie mantenevano ampie autonomie, ma le decisioni di carattere generale (moneta, trattati commerciali, politica estera) erano di pertinenza di un parlamento e di un governo unitari => colonie del Nord
Si accordarono sull’ipotesi federalista e i rappresentanti delle ex colonie, riuniti a Filadelfia, il 17 settembre 1787 votarono la Costituzione degli USA, che entrò in vigore l’anno dopo, quando venne eletto il primo presidente americano, G. Washington.

LA COSTITUZIONE FEDERALE AMERICANA

Organi centrali: difesa, commercio, politica estera, politica economica, legislazione sull’immigrazione. Tutto il resto è attribuito agli stati federali.
Divisione dei poteri:
- potere legislativo: Congresso, parlamento bicamerale eletto dal popolo con suffragio universale (dal 1920), composto dalla Camera dei rappresentanti (numero dei rappresentanti proporzionale alla popolazione) e dal Senato (due senatori per ogni stato).
- potere esecutivo: presidente eletto ogni 4 anni da un collegio di grandi elettori, a loro volta eletti dal popolo. Ha poteri di controllo sul Congresso, dispone infatti di diritto di veto. Il presidente non può sciogliere anticipatamente le Camere, né queste possono destituire il presidente.
- la magistratura è indipendente da qualsiasi istituzione governativa: massimo organo giudiziario è la Corte suprema, con poteri di controllo costituzionale; i membri sono nominati a vita e direttamente dal presidente.

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